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Semplice Numero 8 - Luglio/Agosto 2018
Il Sommario
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La Copertina
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Interventi.
Vincenzo Barba**
L'estratto dell'articolo
Il tema dell’ordine pubblico, per molto tempo affidato alle sole pagine della letteratura, quasi come fosse concetto da applicare a casi di scuola, negli ultimi lustri ha vissuto una feconda stagione.
Le ragioni non stentano a comprendersi, quando si tenga in conto, per un verso, dell’esigenza, sempre piú avvertita, di esercitare un controllo di legalità costituzionale sugli atti di autonomia privata e, per altro verso, il dilagare di normative europee che pongono norme di diritto internazionale privato, prescrivendo quale limite all’applicazione di esse la contrarietà all’ordine pubblico.
Questa sola considerazione iniziale induce subito ad avvertire, sebbene la distinzione assuma oggi una valenza piú sfumata che in passato, l’opportunità di distinguere tra ordine pubblico interno e ordine pubblico internazionale. Nel convincimento che si tratta di concetti destinati ad assolvere funzioni diverse, i quali risultano accomunati dal solo fatto di essere, entrambi, clausole generali.
Si tratta, infatti, di frammenti di norme giuridiche caratterizzati da una certa vaghezza intenzionale, dipendente dal fatto che il loro contenuto rinvia ad altre valutazioni. Con intesa che in un sistema ordinamentale come il nostro, caratterizzato da una gerarchia e complessità di fonti di produzione, l’interprete deve rinviare e attingere esclusivamente al sistema giuridico, ossia al complesso dei princípi che fondano il nostro ordinamento giuridico e che non soltanto costituiscono l’unica garanzia di pluralismo e democraticità, ma anche conferiscono alle clausole generali un significato normativo.
Clausola generale è, dunque, espressione con la quale si evoca una vera e propria tecnica di normazione, per effetto della quale il legislatore inserisce in una norma giuridica (e di qui la circostanza che si tratta soltanto di un frammento di norma e mai di una norma in sé compiuta) un criterio di valutazione elastico, che rinvia a una pluralità di altre valutazioni e introduce elementi di flessibilità applicativa.
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Interventi.
Il Direttore
L'estratto dell'articolo
Con l’introduzione del Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali – GDPR – si è determinata una sorta di evoluzione nella denominazione di alcuni personaggi che pur svolgono, nell’ambito della nuova disciplina, le medesime funzioni già previste dal legislatore italiano nel Codice – D.Lgs. 196/2003. Evoluzione questa tanto probabilmente involontaria quanto senz’altro riconducibile alla difficoltà di una traduzione in italiano il più possibile aderente agli originari termini inglesi. E proprio con riferimento al problema delle traduzioni, che spesso possono trarre in inganno, si osserva come l’adozione in lingua italiana ad esempio dell’espressione responsabile di...non sempre corrisponda alla corretta traduzione dall’inglese. Si pensi al proposito alla traduzione dell’espressione data protection officer laddove, riportando il bel testo di Adalberto Biasiotti, [1] “...un officer nella lingua inglese è ad esempio un agente di polizia o un addetto a qualche funzione e non è certo un responsabile, nel senso italiano della parola. Un officer svolge funzioni su indicazioni del suo preposto, mentre per solito un responsabile gode di un elevato livello di autonomia nello svolgimento delle proprie funzioni. Si pensi ad esempio al responsabile del servizio prevenzione e protezione, previsto dal decreto legislativo 81/2008, il cui ruolo è certamente molto più impegnativo e responsabilizzato di un ‘addetto”. D’altra parte bisogna riconoscere come il motivo per il quale molte volte sia necessario il ricorso a definizioni in lingua inglese nasca innegabilmente dal fatto che spesso molti documenti – nel senso più generale e comprensivo del termine – essendo privi di traduzione comportano l’obbligo per l’interprete italiano di recuperare elementi di informazione e valutazione in testi disponibili solo in lingua inglese.
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Attualità.
La Redazione
L'estratto dell'articolo
Il Censimento permanente della popolazione e delle abitazioni si basa sull’integrazione e il confronto tra fonti amministrative e i dati derivanti dalle specifiche rilevazioni campionarie A e L. Ai fini dell’integrazione dei dati per lo svolgimento dei censimenti, l’Istat indica annualmente le basi dati, di cui al comma 228 dell’art. 1 della legge n. 205/2017, ferme restando ulteriori previsioni nel Programma statistico nazionale (PSN), che gli enti e gli organismi titolari devono fornire all’Istituto per la realizzazione del Censimento permanente. La mancata fornitura delle suddette basi dati costituisce violazione dell’obbligo di risposta, ai sensi dell’art. 7 d.lgs. n. 322/1989 e s.m.i., così come previsto dal comma 229 della legge n. 205/2017. La data di riferimento dei dati è il 1° gennaio di ciascun anno, salvo eventuali successive integrazioni, e le informazioni richieste sono a livello individuale. Ciascun archivio, tra le variabili richieste, dovrà contenere le seguenti informazioni per l’individuo di riferimento: nome, cognome, codice fiscale, sesso, giorno, mese e anno di nascita, luogo di nascita, paese di cittadinanza e/o di nazionalità (laddove presente), comune e indirizzo di residenza e, ove previsto, comune e indirizzo del luogo di lavoro e/o di studio. Con riferimento ai luoghi - di residenza, di studio e di lavoro degli individui - gli elementi di cui si compone un indirizzo sono i seguenti: la ‘denominazione urbanistica generica’ (DUG) che identifica il tipo di area di circolazione (via, piazza, lungomare, salita, ecc.); la ‘denominazione ufficiale’ (DUF) che identifica la denominazione specifica dell’area di circolazione (Giuseppe Garibaldi, Trastevere, ecc); il ‘numero civico’; l’eventuale ‘esponente’.
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Giurisprudenza.
Angelo Schillaci
L'estratto dell'articolo
È stata pubblicata sulla G.U. n. 19 del 9 maggio 2018 l’ordinanza con la quale il Tribunale di Pisa ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma risultante dal combinato operare degli artt. 449 c.c., 29, comma 2, del D.P.R. n. 396/2000 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile), dell’art. 250 c.c. e degli artt. 5 e 8 della legge n. 40/2004 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui non consente all’ufficiale di stato civile di formare l’atto di nascita di un bambino, cittadino straniero, con l’indicazione di due genitori dello stesso sesso, qualora ciò sia corrispondente allo status a questo riconosciuto dalla sua legge nazionale, applicabile in base all’art. 33 della legge n. 218/1995.
In particolare, il Tribunale di Pisa era investito del ricorso avverso il diniego dell’ufficiale di stato civile del Comune di Pisa di ricevere la dichiarazione di riconoscimento congiunto del minore da parte di due donne – l’una madre gestazionale e cittadina statunitense, l’altra madre intenzionale e cittadina italiana – e conseguentemente formarne l’atto di nascita in conformità allo status filiationis sussistente nei confronti di entrambe ai sensi della legge nazionale del minore.
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Come si fa.
Marco Raso
L'estratto dell'articolo
Lo “schedario della popolazione temporanea” è previsto dall’art. 32 del DPR 223/1989 che testualmente recita:
”Schedario della popolazione temporanea
1. Lo schedario della popolazione temporanea concerne i cittadini italiani o gli stranieri che, essendo dimoranti nel comune da non meno di quattro mesi, non si trovano ancora in condizione di stabilirvi la residenza per qualsiasi motivo. Gli stranieri dimoranti nel comune da non meno di quattro mesi sono comunque iscritti nello schedario della popolazione temporanea quando non siano in possesso del permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno di cui al comma 2 dell'art. 14.
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Bastiancontrario.
Batiancontrario
L'estratto dell'articolo
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