-
Inserisci i tuoi dati per ricevere
le ultime notizie:
|
- Info
Semplice Numero 9 - Settembre 2020
Il Sommario
|
La Copertina
|
-
Interventi.
Silvia Izzo**
L'estratto dell'articolo
L’occasione delle riflessioni che seguono è costituita dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 12193 del 9 maggio 2019 che ha ritenuto non riconoscibile in Italia il provvedimento straniero dichiarativo della paternità d’intenzione di un uomo sui figli minori del compagno nati in seguito ad una pratica di maternità surrogata 1. Il diniego è stato motivato in base alla nozione di ordine pubblico che, ai sensi dell’art. 64, comma 1, lett. g), della l. n. 218 del 1995, osta al riconoscimento in Italia di sentenze straniere che producano effetti ad esso contrari. Quest’ultima viene ricostruita «alla stregua non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione della nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell'ordinamento in un determinato momento storico». Di tale insieme è espressione il divieto di surrogazione di maternità contemplato dall’art. 12, comma 6 della l. n. 40 del 2004, che non costituirebbe, ad avviso del Supremo Collegio, soltanto una «delle possibili modalità di espressione della discrezionalità del legislatore ordinario in un determinato momento storico» 2. Ulteriore questione di massima di particolare importanza rimessa alle Sezioni unite era costituita dai distinti profili della legittimazione e dei poteri del procuratore generale presso la Corte d’Appello, del sindaco e del Ministero dell’interno nel contesto del giudizio di riconoscimento delle decisioni straniere. In relazione ad essa le Sezioni unite hanno statuito nel senso che «Il rifiuto di procedere alla trascrizione nei registri dello stato civile di un provvedimento giurisdizionale straniero con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all'estero ed un cittadino italiano, se non determinato da vizi formali, dà luogo ad una controversia di stato, da risolversi mediante il procedimento disciplinato dall'art. 67 della legge n. 218 del 1995, in contraddittorio con il Sindaco, in qualità di ufficiale dello stato civile, ed eventualmente con il Ministero dell'interno, legittimato a spiegare intervento nel giudizio, in qualità di titolare della competenza in materia di tenuta dei registri dello stato civile, nonché ad impugnare la relativa decisione». Nel medesimo giudizio, al contrario, il Pubblico Ministero pur rivestendo «la qualità di litisconsorte necessario, ai sensi dello art. 70, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., […] è privo della legittimazione ad impugnare la relativa decisione, non essendo titolare del potere di azione, neppure ai fini dell'osservanza delle leggi di ordine pubblico».
-
Interventi.
Carmelo Danisi e Nuno Ferreira **
L'estratto dell'articolo
Con la sua prima decisione riguardante il trattamento di coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato, ai sensi dell’art. 1(2) della Convenzione di Ginevra del 1951, in ragione della loro identità di genere, la Corte europea dei diritti umani (Corte EDU) ha adottato una posizione chiara a loro tutela. L’esame del caso Rana c. Ungheria (16 luglio 2020, no. 40888/17) risulta infatti fortemente ispirato tanto dal principio di eguaglianza e non discriminazione quanto dalla necessità che gli Stati europei garantiscano una protezione effettiva dei diritti sanciti nella Cedu e non illusori. L’azione dinanzi la Corte europea è stata avviata da un cittadino iraniano che, seppur nata donna, si era da sempre riconosciuto e comportato come uomo in Iran. Giunto in Europa, otteneva lo status di rifugiato in Ungheria proprio per la persecuzione temuta in base alla sua identità di genere.
-
Giurisprudenza.
La Redazione
L'estratto dell'articolo
Sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo in materia di provvedimenti di diniego della cittadinanza italiana richiesta dallo straniero per matrimonio, ai sensi dell’art. 5, l. 5 febbraio 1992, n. 91 in quanto la valutazione in ordine alla sussistenza nel caso specifico di comprovati motivi inerenti la sicurezza della Repubblica presuppone una attività di giudizio e ponderazioni di interessi, quello privato dello straniero richiedente e quello di matrice pubblicistica alla sicurezza della Repubblica, quest’ultimo considerato dalla legge in ogni caso prevalente sul primo. Di talché ove l’accoglimento della domanda di acquisto della cittadinanza per matrimonio, secondo l’apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione procedente, entrasse in insanabile conflitto con quest’ultimo interesse, mettendolo irrimediabilmente a rischio, è lo stesso legislatore a risolvere il potenziale conflitto, imponendo il rigetto della domanda.
-
Come si fa.
Marco Raso
L'estratto dell'articolo
-
Attualità.
La Redazione
L'estratto dell'articolo
-
Bastiancontrario.
Il Bastiancontrario
L'estratto dell'articolo
-
News.
La Redazione
L'estratto dell'articolo
|
|
L'estratto dell'articolo
Clicca sul titolo dell'articolo per leggerlo.
|
|